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Fake news: tra cadetti e figli di ignoti

Pausa pranzo. Di quelle nelle vecchie trattorie di quartiere con tovaglie a quadri, menu fisso e campanello che segnala la presenza dei clienti quotidiani, per la maggior parte operai. Anche i discorsi sono fissi, i treni in ritardo, la partita della sera prima, le lamentele delle mogli e spesso, pur non conoscendosi veramente, gli avventori si rispondono da un tavolo allā€™altro, secondo le tacite e inoppugnabili norme delle tavole calde, soprattutto quando si tratta di commentare ad alta voce le notizie del telegiornale gentilmente offerte dal televisore sopra le loro teste, servendomi interessanti inconsapevoli spunti di riflessione. ā€œSi, ma tu ci credi a quelli? Ai giornalisti, beh, con tutte le notizie false che girano, per non parlare di quelle su Facebook poiā€¦ Da quando hanno inventato i social, ormai siamo sommersi di notizie false che ĆØ meglio non leggere, lo fanno apposta ā€¦ā€ a cui seguono immancabilmente sommessi mormorii di assenso, tra tintinnii di forchette, soffiate di naso e bicchieri che si svuotano. 

Dal mio tavolino in penombra faccio un poā€™ di fatica a credere che le fake news, campagne intenzionali di disinformazione a parte, siano figlie legittime dei social media o comunque dei meccanismi piĆ¹ o meno noti che regolano la societĆ  del XXI secolo, attraverso la propagazione fulminea di ogni tipo di notizia e la conseguente condivisione compulsiva da parte di utenti frettolosi che non hanno nĆ© tempo nĆ© voglia di verificarne lā€™attendibilitĆ . Al giorno dā€™oggi i social media rappresentano il canale di diffusione rapida di contenuti per eccellenza, tuttavia dovremmo resistere al fascino mendace di quella nostalgia che ci induce a glorificare un passato mai esistito in cui giornali, radio e riviste di tutto il mondo si impegnavano a diffondere unicamente notizie attendibili.

Penso alle leggende metropolitane, figlie di ignoti abbandonate nella notte dei tempi di cui nessuno ha mai rivendicato la paternitĆ . Mi chiedo se rispondano a una caratteristica intrinseca dellā€™essere umano di giustificare ciĆ² di cui non si conosce lā€™origine o piuttosto a un innato bisogno di storie al fine di rafforzare lā€™identitĆ  culturale o lā€™appartenenza a un determinato gruppo sociale.

Marco Polo (Venezia 1254-1324) raffigurato in costume tartaro, XVIII sec.

Penso anche agli errori di interpretazione, come, tra i tanti, quello ad opera di Giovanni Battista Ramusio che, nelle note alla prima versione italiana de Il Milione attribuƬ la diffusione della pasta di grano duro in territorio italiano a Marco Polo di ritorno dalla Cina, quando invece questā€™ultimo aveva scritto che ā€œQui Ć  una grande maraviglia, che ci Ć n farina dā€™Ć lbori, che sono Ć lbori grossi e hanno la buccia sottile, e sono tutti pieni dentro di farina; e di quella farina si fa molti mangiar di pasta e buoni, ed io piĆ¹ volte ne mangiaiā€ riferendosi alla pasta di sago (amido estratto da un particolare tipo di palma).

Alberto Sordi in una celebre scena del film Un americano a Roma, diretto da Steno nel 1954.

E, come se non bastasse, nel 1929 un giornalista americano del ā€œMacaroni Journalā€ ebbe la brillante idea di conferire la paternitĆ  della pasta nientepopodimeno che al mitico signor Spaghetti, marinaio al servizio di Marco Polo che un giorno, sceso dalla nave, avrebbe incontrato una contadina intenta a mescolare un impasto semiliquido che via via si solidificava e che avrebbe poi acquistato per farlo conoscere al resto dellā€™equipaggio, modellandolo in piccoli cordoncini da cuocere nellā€™acqua giĆ  salata del mare. Ladies and gentlemen, ecco a voi gli spaghetti. Rigorosamente Made in Italy. O forse no.

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Gloria Costante
Gloria Costante
Sono insegnante e traduttrice dall'inglese, francese, spagnolo verso l'italiano e collaboro con OpenPlanet come redattrice. Amo imbottigliare parole e sferruzzare racconti, seduta ad ascoltare storie di anziani e viaggiatori che nutrono la mia nostalgia di quelle epoche che non ho mai vissuto ma che, come in un romanzo di Proust, prendono vita davanti a me quando vengono spolverate dal silenzio del non raccontato. Amo il freddo dei romanzi russi, le montagne e il vino rosso della Carnia e la silenziosa compagnia dei miei gatti. Mi piace viaggiare con la mente e con la valigia e penso che OpenPlanet sia il posto giusto per fare tutto ciĆ².

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