C’è questo fastidioso fenomeno che va avanti massicciamente da due secoli e che prende il nome di inurbamento. Sono certa l’avrete studiato a scuola, precisamente nel capitolo della rivoluzione industriale e sono altresì certa che sul vostro libro veniva descritto grossomodo come “lo svuotamento delle campagne ed il riempimento delle città”. Che è certamente un modo grossolano ma abbastanza schietto e veritiero per spiegare un fenomeno complesso e dovuto a più di una causa.
Anche l’Italia si è omologata all’urbanesimo ed oggi non è raro percorrere chilometri e chilometri e chilometri di autostrada senza incontrare un centro abitato ma solo natura a perdita d’occhio, a volte pala eoliche, spesso al sud distese d’ulivi, al Nord ogni tanto qualche gargantuesco stabilimento industriale che impressiona forse più dei dolci declivi del verde pugliese.
È dunque normalità, ormai, che piccoli borghi slegati dalla civiltà o poco connessi alla città dal sistema viario, si spopolino e diventino contenitori vuoti quando fino a poco prima erano brulicanti di vita.
Cosa ce ne si fa di un borgo fantasma? Lo si lascia lì a deperire come un corpo non nutrito? Lo si riqualifica, magari come attrazione turistica che sa un po’ di plastica? Oppure si cerca di riportarci la vita e le attività economiche, eliminando quelle criticità che in un primo momento avevano reso il luogo un borgo-fantasma?
È una domanda dalla risposta non scontata, perché in almeno due casi c’è necessità di un grande dispendio d’energie e risorse, soprattutto economiche; ma non significa che a volte non possa accadere che si crei quel concerto di sinergie benevole che portano alla rinascita di una comunità; è ciò che è successo ad esempio per il borghetto di Sant’Angelo di Roccalvecce, frazione del –a sua volta piccolissimo- paese di Roccalvecce.
Siamo poco lontano da Viterbo, quasi al cuore della Teverina Viterbese, dove si sta scrivendo da qualche anno una favola di quelle che iniziano con il “C’era una volta” …
Proprio le favole sono il motore propulsivo della qualificazione di questo luogo sperduto, dove arrivare è molto difficile ma il viaggio è uno di quelli che vale la pena, perché si attraversa la natura inalterata fatta di boschi e corsi d’acqua e forre e polle. E quando arriverete troverete questo minuscolo nugolo di case che è stato tutto ripitturato ed abbellito, in un’operazione che ha portato a rivivere sulle facciate Peter Pan, i Musicanti di Brema, il Piccolo principe e Don Chisciotte della Mancia ma anche Artù e la spada nella roccia, fate svolazzanti e sorridenti.
Un’esplosione di colore e street-art che ha portato Sant’Angelo ad essere protagonista degli itinerari che prima lo vedevano tagliato fuori e soprattutto ha riportato la voglia di investire sul serbatoio naturalistico, umano, architettonico che Sant’Angelo preservava per chi avesse avuto l’occhio attento da notare ed enfatizzare le sue potenzialità.
Come abbiamo detto questa è una favola e come tutte le favole che si rispettino ha un lieto fine: ritorna la vita a scorrere nei micro-cosmi italiani che sono la cifra sulla quale si intesse in nostro tessuto sociale e storico. Torna a scorrere una vita colorata, briosa, piena di aspettative per un futuro gravido di opportunità!