Un racconto di Gloria Costante
Noia era una bambina coi capelli grigi e la tunica bianca che andava in giro con un cestino pieno di petali di fiori profumati e impolverati con cui cospargeva pavimenti e mobili delle persone a cui andava a fare visita senza suonare il campanello. Case, condomini, quartieri, paesi, città, Noia conosceva tutte le strade del mondo poiché era una postina silenziosa e invisibile che consegnava lettere e pacchi di tempo mutilato ai suoi ignari aficionados, a cui talvolta portava persino i pasti a domicilio e riceveva in cambio cospicue mance che metteva nelle grandi tasche della tunica per poi comprare altri fiori da distribuire ai nuovi abbonati.
Perché in quel marzo 2020 era tempo di affari e bisognava comprare fiori che fossero degni di soddisfare ogni richiesta e lei non l’avrebbe rimborsata nessuno, anche se, in fondo, non si poneva neanche il problema: era ricca dalla nascita e la felicità e l’infelicità non le erano mai interessate.
Viaggiava in prima classe, indisturbata, guardava fuori dal finestrino e scendeva a fermate casuali, a leggere non aveva mai imparato e una fermata valeva l’altra, i suoi assistiti vivevano in ogni angolo del globo e l’unica cosa a cui doveva badare era la distribuzione più o meno ponderata dei petali. Il resto andava da sé, era un business ben avviato. Quel giorno scese a Udine e si specchiò nel cielo dello stesso colore dei suoi capelli, si stiracchiò lentamente, vagò in lungo e in largo per la stazione deserta e si sedette nella sala d’attesa, pensando a chi sarebbe andata a fare visita per prima.
Andò da Valeria, l’universitaria trentacinquenne, parcheggiata a casa dei suoi e intenta a iniziare a scrivere una tesi da tempi immemori, perché la vita è dura, lavorare in bar non fa per lei e poi mamma e papà si aspettano un avvenire rose e fiori e non può deluderli, in fin dei conti sono loro a darle la paghetta, anzi la paga, per scaldare a turno le sedie del soggiorno. Valeria aveva preso a giustificare il suo continuo rimandare facendo appello alla nuova arrivata, la pandemia, che per forza di cose non poteva fare altro che impedire l’andamento regolare della vita, intaccando pericolosamente la produttività. Suonava bene, Noia annuiva nell’angolo, era rincuorante attribuire la mancanza di iniziativa a quella quarantena che voleva che le persone si fermassero. Peccato che a lei venisse chiesto soltanto di stare seduta, al caldo, a scrivere un elaborato di trenta pagine che nessuno avrebbe mai letto. La bambina dai capelli grigi cosparse il pavimento del soggiorno di petali viola, scrocchiò l’osso del collo maledicendo la cervicale e richiuse la porta.
Poi andò da Marco e lo vide seduto sul divano sfondato davanti al televisore, telecomando alla mano e computer sulle ginocchia. Sapeva bene che in quella casa avrebbe trovato pane per i suoi denti poiché Marco era uno dei suoi clienti più affezionati che mai avrebbe rinunciato alla sua sterminata collezione di petali. In televisione davano un vecchio western di cui non conosceva il titolo, poi le sue dita passarono in rassegna i vari canali disponibili fino a fermarsi su un canale in cui opinionisti dalle dubbie opinioni decantavano l’utilità della vitamina C nella lotta al Coronavirus. Prese il telefono e iniziò a mandare messaggi senza punteggiatura ai suoi contatti, quasi tutte donne di mezza età, per avvisarli dell’interessante approfondimento in onda su tale canale. Noia gli si sedette accanto e rubò una manciata di patatine al formaggio dalla busta sul divano, al loro posto mise dei petali di margherita: una piccola dose dopo i pasti, pensò quando si accorse che la casa era piena dei petali che aveva disseminato la settimana prima.
Anche Dario e Alice erano incastrati tra le molle del divano a guardare un thriller svedese, assorti nella vacuità dei loro account social, tra le foto delle razzie del lievito di birra nei supermercati e le inquietanti sorti del Fantacalcio in quel 2020 imprevedibile come poche cose al mondo. Per loro petali di garofano in ogni stanza.
I loro vicini di pianerottolo, altra coppia giovane e annoiata, non erano da meno: lei era intenta a lavorare a maglia e a desiderare ardentemente di essere da sola in santa pace, peccato per la presenza quasi fastidiosa del marito che non faceva altro che fissare i suoi gesti meccanici poiché in casa non aveva proprio niente da fare. Noia gli si avvicinò con delicatezza e gli riempì il cappuccio di petali di mammole, per un istante le venne l’idea di abbracciarlo ma la allontanò subito. Li guardò ancora una volta, poi andò in corridoio e prese l’ascensore.
Andò al sesto piano a salutare un suo nuovo assistito, uno studente polacco che aveva deciso di fare l’Erasmus in Italia, ma che, allo scoppiare della pandemia si era ritrovato in casa da solo perché gli altri studenti stranieri con cui condivideva l’appartamento avevano preferito rifugiarsi in casa dai genitori. E così Adrian era rimasto lì, nel suo letto di birra del discount, isolato nello spazio e nella lingua che non aveva avuto neanche il tempo di imparare. Per lui petali e petali di girasoli.
Noia uscì in strada e pensò che per quella sera il suo giro poteva definirsi concluso. Mancava ancora Clara, in quella zona della città, per il consueto appuntamento delle 21.30, quando la cena era finita e con essa anche le cose da fare, ma quel giorno non aveva assolutamente voglia di raggiungere il quinto piano.
Clara può aspettare, si disse tra uno sbadiglio e l’altro, so dove trovarla e come rosicchiare il suo tempo, e vagò nella direzione opposta.
Intanto Clara si alzò dalla poltrona reclinabile e andò in cucina a lavare i piatti, senza aspettare il pranzo dell’indomani, come era abituata a fare. Rimise a posto la tovaglia e aprì la finestra, ritrovandosi a sbirciare le solitudini domestiche dei suoi vicini senza nome. Poi tornò in salotto e lo guardò come se fosse a casa di estranei. Altre volte ci aveva pensato ma era stato un pensiero sin troppo pesante rispetto al lieve abbraccio invisibile di Noia. Si avvicinò al pianoforte a coda e accarezzò i tasti bianchi quasi con timore. Lui rispose con il tono roco di chi ha bisogno di schiarirsi la voce per continuare a parlare e lei rimase come in apnea per qualche secondo, mentre i vicini del piano di sopra passavano l’aspirapolvere e un bambino lontano si lamentava perché voleva vedere i cartoni. Poi si sedette e il panchetto rimase in silenzio.
Suonò Addio al piano con le unghie lunghe e i polsi pieni di braccialetti tintinnanti, non lo ricordava bene a memoria, inventò diteggiature scomode, ripeté i ritornelli a oltranza e si lasciò prendere da un innato crescendo, dimenticandosi completamente di ogni sorta di tempo. Era un pezzo che aveva studiato da bambina, era passata una vita, ma in quel momento non importava nulla se non che fosse lì, le dita tremolanti e i piedi saldi nei pedali, come a non volersi più allontanare da quella postazione riscoperta una ventosa sera di marzo nella lunga quarantena italiana.
Quella notte Noia aveva perso un’assistita. Chissà, magari Clara sarebbe tornata sotto il suo mantello, avrebbe sempre potuto rinunciare all’amico ritrovato, come aveva fatto in passato quando si era arresa alle insidie di quel tempo lentamente consumato dalla bambina dai capelli grigi.
Pensò che, in fin dei conti, le case con la musica non le interessavano poi tanto: avevano le porte sprangate e le pareti spesse, non valeva la pena star lì a riprovarci, aveva un impero da controllare e musicisti e artisti non erano un suo problema, aspettava soltanto che qualcuno di loro avrebbe ceduto allo sconforto e alla rassegnazione per poterlo includere tra i suoi assistiti.
Di solitudini a disposizione ce ne sarebbero state a non finire, ma non aveva alcuna fretta, sapeva dove trovarle e poi avevano pur sempre le loro provviste di petali ordinati, di stenti non sarebbero morte.
Noia, la bambina con i capelli grigi che viaggiava in prima classe è un racconto scritto da Gloria Costante